La passione tinge dei propri colori tutto ciò che tocca.

17 novembre 2011

Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d'avere: l'estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t'aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
Italo Calvino 
Genio: che cosa è il piacere?
Tasso: non ne ho tanta pratica da poterlo conoscere che cosa sia.
Genio: nessuno lo conosce per pratica, ma solo per ispeculazione: perché il piacere è un subbietto speculativo, e non reale; un desiderio, non un fatto; un sentimento che l'uomo concepisce con il pensiero, e non prova; o per dir meglio un concetto, e non un sentimento. Non vi accorgete voi che nel tempo stesso di qualunque vostro diletto, ancorché desiderato infinitamente, e procacciato con fatiche e molestie indicibili; non potendovi contentar il goder che fate in ciascuno di quei momenti, state sempre aspettando un goder maggiore e più vero, nel quale consista in somma quel tal piacere; e andate quasi riportandovi di continuo agl'istanti futuri di quel medesimo diletto? Il quale finisce sempre innanzi al giungere l'istante che vi soddisfaccia; e non vi lascia altro bene che la speranza cieca di goder meglio e più veramente in altra occasione, e il confronto di fingere e narrare a voi medesimi di aver gouto, con raccontarlo anche agli altri, non per sola ambizione, ma per aiutarvi al persuaderlo che vorreste pur fare a voi stessi. Però chiunque consente di vivere, nol fa in sostanza ad altro effetto né con un'altra utilità che di sognare; cioè credere di avere a godere, o di aver goduto; cose ambedue false e fantastiche.

Operette Morali di Giacomo Leopardi
“Datemi una dozzina di bambini normali, ben fati, e un ambiente opportuno per allevarli e vi garantisco di prenderne qualcuno a caso e di farlo diventare qualsiasi tipo di specialista, che io volessi selezionare – dottore, avvocato, artista, commerciante e perfino accattone e ladro -, indipendentemente dalle sue attitudini, simpatie, tendenze, capacità, vocazione”.
Watson
Ridete franco e forte, sopra qualunque cosa, anche innocentissima, con una o due persone, in un caffè, in una conversazione, in via: tutti quelli che vi sentiranno o vedranno rider così, vi rivolgeranno gli occhi, vi guarderanno con rispetto, se parlavano, taceranno, resteranno come mortificati, non ardiranno mai rider di voi, se prima vi guardavano baldanzosi o superbi, perderanno tutta la loro baldanza e superbia verso di voi. In fine il semplice rider alto vi dà una decisa superiorità sopra tutti gli astanti o circostanti, senza eccezione. Terribile è la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire.


Zibaldone di Giacomo Leopardi

13 aprile 2010

Gelsomino Notturono

E s'aprono i fiori notturni, nell'ora che penso a' miei cari.Sono apparse in mezzo ai viburnile farfalle crepuscolari. Da un pezzo si tacquero i gridi: là sola una casa bisbiglia.Sotto l'ali dormono i nidi,come gli occhi sotto le ciglia.Dai calici aperti si esalal'odore di fragole rosse. Splende un lume là nella sala.Nasce l'erba sopra le fosse.Un'ape tardiva sussurratrovando già prese le celle.La Chioccetta per l'aia azzurra va col suo pigolio di stelle.Per tutta la notte s'esalal'odore che passa col vento.Passa il lume su per la scala;brilla al primo piano: s'è spento . . .È l'alba: si chiudono i petaliun poco gualciti; si cova,dentro l'urna molle e segreta,non so che felicità nuova.

11 marzo 2010

Eugenio Montale - Ho sceso un milione di scale.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno milioni di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

12 febbraio 2010

L' amicizia secondo Cicerone.


Innanzi tutto la mia opinione è questa: l’ amicizia può sussistere solo tra persone virtuose. E non taglio la questione sul vivo, come fanno coloro che discutono con troppa sottigliezza. Forse hanno ragione, ma non forniscono un grande contributo all’ utilità comune. Dicono che nessuno, tranne il saggio, è un uomo virtuoso. Ammettiamo pure che sia così. Ma per saggezza intendono quella che nessun mortale, finora, ha raggiunto. Noi, invece, dobbiamo guardare alla pratica e alla vita di tutti i giorni, non alle fantasticherie o ai desideri. Non potrei mai dire che Caio Fabrizio, Manlio Curio e Tiberio Coruncanio, considerati saggi dai nostri antenati, lo fossero secondo il parametro di costoro. Perciò si tengono pure il loro nome fastidioso e incomprensibile di sapienti; ammettano almeno che i nostri compatrioti sono stati virtuosi. Ma non faranno neppure questo. Diranno che tale concessione si può fare solo al filosofo. Ragioniamo allora, come si dice, con l’ aiuto della “grassa Minerva”. Uomini che si comportano, che vivono dimostrando lealtà, integrità morale, senso di equità, generosità, senza nutrire passioni sfrenate, dissolutezza, temerarietà, ma possedendo invece una grande coerenza (come i personaggi ora nominati), sono reputati virtuosi. Allora diamo loro i nomi di virtuosi, perché seguono nei limiti delle possibilità umane, la migliore guida per vivere bene, la natura.

Mi sembra chiaro, infatti, che siamo nati perché si instauri tra tutti gli uomini un vincolo sociale, tanto più stretto quanto più si è vicini. Così agli stranieri preferiamo i concittadini, agli estranei i vicini. L’ amicizia tra parenti, infatti, deriva dalla natura, ma difetta di sufficiente stabilità. Ecco perché l’ amicizia è superiore alla parentela: dalla parentela può venir meno l’ affetto, dall’ amicizia no. Senza l’ affetto, l’ amicizia perde il suo nome, alla parentela rimane. Tutta la forza dell’ amicizia emerge soprattutto dal fatto che, a partire dell’ infinità società del genere umano, messa insieme dalla stessa natura, il legame si fa così stretto e cos’ chiuso che tutto l’ affetto si concentra tra due o poche persone. L’ amicizia non è altro che un’ intesa sul divino e sull’ umano congiunta a un profondo affetto. Eccetto la saggezza, forse è questo il dono più grande degli dei all’ uomo. C’è chi preferisce la ricchezza, chi la salute, chi il potere, chi ancora le cariche pubbliche, molti anche il piacere. Ma se i piaceri sono degni delle bestie, gli altri beni sono caduchi e incerti perché dipendono non tanto dalla nostra volontà quanto dai capricci della sorte. C’è poi chi ripone il bene il bene supremo nella virtù: cosa meravigliosa, non c’è dubbio, ma è proprio la virtù a generare e a preservare l’ amicizia e senza virtù l’ amicizia è assolutamente impossibile.